Barbarossa e la stampa on line: una rassegna


(Qui di fianco, l'anello della "Compagnia della morte", esclusivo gadget distribuito ai giornalisti all'anteprima stampa di Barbarossa di Renzo Martinelli).

Al primo fine settimana di programmazione l'atteso Barbarossa di Renzo Martinelli fa tutto sommato una performance discreta (anche se non esaltante), collocandosi alla sesta posizione nella classifica del Box Office. Al primo posto resta incontrastato i Bastardi senza gloria di Tarantino. Va segnalato che i 400.000 euro di incasso di questo primo week end sono però molto lontani dalle aspettative e da un recupero anche minimo delle spese di produzione (30 milioni di euro). Una valutazione più completa si potrà fare solo nelle prossime settimane.

Abbiamo deciso di tastare gli umori della stampa on line riguardi al primo colossal epico-storico italiano. Per il momento non abbiamo individuato recensioni apertamente positive (segnalatele qui sotto nello spazio commenti!)

A mancare probabilmente sono le immagini. Il contrasto tra realismo storico e mito è tutto affidato alle parole con i tragici, implausibili e noiosi risultati descritti e mai alle immagini che invece provengono da un campionario delle più semplici tra Braveheart e Il Signore Degli Anelli, senza però che rispondano ad una logica precisa.
Martinelli non risparmia impennate di Gore come facevano Mel Gibson o Luc Besson nel suo Giovanna D’Arco ma senza che ci sia una visione di mondo corrispondente questo ha poco senso. Detto in altre parole la violenza medievale in Barbarossa non è mai funzionale a qualcosa, non riesce a dirci di più di quel mondo o di quei personaggi o anche di quella storia, riesce solo ad impressionarci e comunque solo ogni tanto.

(Gabriele Niola, Screnweek.it)

Barbarossa, ovviamente ispirato allo storico personaggio di Federico I di Hoehnstaufen, racconta battaglia di Legnano e le sue cause in un'ottica incredibilmente faziosa e leghista, una sorta di trasposizione storica ed iconografica delle attuali battaglie sociopolitiche del partito capitanato da Umberto Bossi, peraltro presente in un cammeo nei panni di un nobile del Nord, quasi una conferma del già palese indirizzo semiotico assunto dalla pellicola.

(Stefano Camaioni, Everyeye.it)

Martinelli non è uno sprovveduto, sa gestire le scene di massa e riesce, talvolta a costruire sequenze quantomeno interessanti, ma il montaggio, e soprattutto la sceneggiatura e i suoi dialoghi, sono completamente sotto il livello di guardia. Al Siniscalco Barozzi di cui parlavamo nella premessa, viene continuamente ripetuto nome e cognome come in una parodia di Maccio Capatonda. Nel sorprendente finale, quando si scopre chi si nasconde dietro l’armatura di un soldato, quel "hanno bruciato un’altra", appare così assurdo da suscitare risate, così come il discorso introduttivo di Alberto prima di convincere la sua donna a farsi sposare. E vogliamo parlare di quel grido "Libertà!" di braveheartiana momoria? Tanti scivoloni che alla fine rendono "Barbarossa" un film di bassa, lega.

(Andrea D'Addio, Filmup.com)

Martinelli spende male i suoi 30 milioni di dollari di budget (almeno a stare alle cifre ufficiali) operando una digitalizzazione soprattutto nelle scene d’insieme che non sempre è efficace e fluida. Così come la ricostruzione degli interni stona rispetto a una paesaggistica ben curata, restituendo una sensazione che si avvicina più alla scarna asciuttezza dei vecchi peplum che non alla minuziosa ricostruzione storica che ci si era prefissi di raggiungere.
Il registro ricercato è quello dell’epicità, e spesso l’obiettivo viene centrato, ma gli schemi usati per creare il climax alla lunga risultano ripetitivi, andando a smorzare un primo impatto tutto sommato positivo. Gli escamotage sono poi antichi, segnano il passo: il ralenty è largamente abusato, arrivando perfino a scadere nel fermo immagine e in soluzioni grottesche quali quelle utilizzate nella battaglia finale.
Anche la direzione degli attori, viziata da un doppiaggio non felicissimo, appare incerta.
Il tentativo non è comunque da cestinare a priori, e pur non riuscendo nel suo intento, segna una strada che, se percorsa con meno ambizione e più accortezza, non sarebbe male veder percorrere in futuro dal cinema italiano.

(Pietro Salvatori, Spaziofilm.it)

Insomma il deja vu domina e poco conta sottolineare, come fa il regista, che per la prima volta si è utilizzato in Italia il sistema di “crowd replication” per espandere il numero delle comparse virtuali. Vista l'abilità di Martinelli nel far confluire capitali sui suoi progetti (a proposito, domanda a chi propone gli scioperi del canone: Rai Cinema ha investito solo denaro padano o di tutti?) gli si può riconoscere un'eccellente qualità di produttore. Come sceneggiatore finisce con il rendere ormai un pessimo servizio (non dimentichiamo Il mercante di pietre) alle cause che abbraccia.

(Giancarlo Zappoli, Mymovies.it)

Ancora una volta Martinelli si avvicina al bersaglio, ma non lo colpisce. Barbarossa è un film didascalico e senza presa. Senza molto altro da dire, purtroppo, a suo riguardo. E pur credendo nella buona fede del messaggio universale di libertà che esso vuole lanciare, non si può nascondere la sensazione di aver avuto a che fare con un film vagamente propagandistico. Ovvio, così non è, ma a pensarci vengono comunque i brividi.

(Diego Altobelli, Moviesushi)