Berlino: il muro è caduto, ma non è ancora svanito nelle coscienze

Ho vissuto per la prima volta a Berlino da studentessa, nell’estate del 1985.
C’era ancora il muro, e come moli altri miei colleghi avevo trovato casa a Kreuzberg, quartiere oggi alla moda, all’epoca popolato da turchi e studenti. Berlino ovest prima della caduta del Muro era uno strano brodo di cultura dei fermenti della gioventù studentesca e artistica europea; c’era un’aria frizzante di iniziative, tra teatri underground, cinema in molte lingue, case occupate con tanto di segni di granate sui muri, quei pochi rimasti in piedi dopo la disfatta del quarantacinque. Berlino ovest, città chiusa, aveva fondato al propria identità sulla progettazione di un presente e di un futuro di libertà d’espressione. Si sognava e si creava, proprio lungo e accanto a quella che ci sembrava la ferita del mondo, il cuore del problema, dicevamo tra noi. Per questo molti giovani erano irresistibilmente attratti dalla città.
Dopo la caduta del muro Berlino è rinata, trasformata, ha spostato il proprio baricentro verso Est: a est ci sono i musei più belli, gli edifici meglio conservati, e il passato urbanistico svolge ancora il suo ruolo. Il Prenzlauer Berg - quartiere degli scrittori della Berlino Est è diventato meta privilegiata della élite intellettuale anche occidentale.
Nel frattempo nella Terra di Nessuno di Potsdamer Platz è sorto il miracolo dell’architettura europea, appena ieri sera il mondo ha potuto ammirare l’apoteosi della nuova Berlino che si candida ad essere capitale spirituale d’Europa.
Eppure, nonostante l’effetto domino del primo colpo sferrato alla ‘Mauer’ vent’anni fa, un muro invisibile continua ad attraversare la città, e soprattutto corre nelle teste delle persone.
Chi è nato a Est non rinuncia alla propria identità, nemmeno nella topografia della città, e non è disposto a cancellare con un colpo di spugna la propria biografia, individuale e collettiva.
Non sto parlando dei nostalgici, ma soprattutto di molti cittadini scomodi della ex DDR, sempre stati all’opposizione, più o meno silenziosa, ora del tutto privi di patria. Le due Germanie non si sono guardate negli occhi, capite e congiunte. C’è stato una politica egemonica della Germania Occidentale speso avvertita come annessione da parte degli orientali. I posti di comando, nelle aziende e nelle istituzioni, nelle scuole e nelle università, sono stati immediatamente occupati da forza lavoro occidentale – è questa, in sostanza, la lamentela ricorrente della ex-élite orientale.
Tutto questo è vero, ma è vero anche che nessun paese europeo è riuscito a compiere il miracolo tedesco. Ci vorranno anni, forse ancora due generazioni, per arrivare a far davvero comunicare le due Germanie, ad abbattere davvero il ‘muro nelle teste’.
Ma la Germania ha già vinto una grande scommessa. Sono stati pubblicati recentemente i protocolli delle conversazioni di gruppi di lavoro riservati, cui parteciparono tra gli altri Maragaret Thatcher in veste di organizzatrice e Francois Mitterand con i suoi consiglieri in veste di ospiti. Scorrendo la minute di quegli incontri risalenti al 20 gennaio 1990 restiamo colpiti dalle fobie e dagli stereotipi scatenati dall’Unificazione, da tutti temuta come inizio di una politica aggressiva ed espansionistica di una paventata Grande Germania.
Tutto questo non è accaduto. La Germania si è rivelata fattore di stabilità e stabilizzazione, non solo dell’area europea occidentale (nel binomio ‘Framania’, tra Francia e Germania) ma anche dell’area dei nuovi paesi dell’UE, i paesi dell’Europa centro-orientale. Come nessun altro paese in Europa la Germania lavora all’integrazione, alla conoscenza, alla costruzione di reti tra est e ovest dell’Europa, consapevole delle proprie responsabilità storiche, coerente in una politica estera e soprattutto culturale. Oggi, che voglia conoscere ed entrare in contatto con gli studi Europei, che voglia tenersi informato su quanto accade all’Est, non ha che da conoscere il tedesco. La Germania si è assunta il ruolo di cerniera tra due grandi mondi, si può dire tra due periferie: Euratlantica ed Eurasiatica. Ha dismesso i panni espansivi e ha costruito un modello di mediazione che sarebbe molto piaciuto a uno dei suoi padri spirituali: Johann Wolfgang Goethe.
Non mancano i problemi: le politiche che spingono la Germania verso la Russia, secondo altri collaudati assi storici di lunga durata. Ma anche questo, discusso ed assunto in Europa senza pregiudizi, può essere un modo per capire chi siamo in Europa, e dove, come l’Europa possa configurarsi a est. I problemi economici interni per cui la stessa Germania è molto occupata con se stessa, per cui sullo scacchiere europeo non osa prendere fino in fondo sulle proprie spalle il ruolo che fu del Piemonte nell’Unità d’Italia.
In un ambito, però, la Germania è già un punto di riferimento nell’Europa del dopo muro: lo stanziamento di ingentissimi fondi, innanzitutto attraverso la agenzia del DAAD, per la ricerca di stranieri in Germania e di tedeschi all’estero. Si è concluso a Napoli proprio domenica scorsa un grande convegno del DAAD sui temi dell’università, comparando le esperienze europee. La Germania, soprattutto a partire dalla caduta del muro, è diventata il punto di riferimento delle élites intellettuali dalla ‘vecchia’ e dalla ‘nuova’ Europa, occupando lo spazio culturale che fu della Francia negli anni cinquanta, nella ricostruzione della prima Comunità Europea. Non è questione di parole, ma di investimenti.
La Germania ha fatto i conti col proprio doloroso e abissale passato, è riuscita a fare di necessità virtù, il muro è caduto, non è ancora svanito nelle coscienze, ma ieri c’è stato comunque molto da festeggiare, e per noi italiani da meditare su un modello di rapporto col passato e col futuro che varrebbe la pena di adottare.
Ma questa è un’altra storia.
Per ora basti pensare a Berlino, che prima ai tempi del muro, e oggi senza muro, continua ad essere la capitale dei giovani europei, oggi della generazione Erasmus.
Chi cerca pensiero libero vola lì, a Nord, sulla cicatrice d’Europa.

Camilla Miglio



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