Impressioni sul VERTICE FAO, tra sprechi, blocchi e delusioni

L’evento mondiale che ancora una volta ha sconvolto per 4 giorni il traffico e la libertà dei cittadini romani, era stato preceduto già da polemiche di varia entità e provenienza.
In particolare, alla vigilia del summit, Medici senza Frontiere aveva contestato ai 187 paesi che aderiscono alla FAO di aver fallito fino ad ora nell’intento di combattere la malnutrizione infantile che provoca danni gravissimi a milioni di bambini nel terzo mondo.
La sigla Fao sta per Food and Agricolture Organization of the United Nations, agenzia dell’ONU specializzata nell’assicurare che in tutto il mondo ci sia cibo a sufficienza per tutti, con sede oggi a Roma, dopo essere stata a lungo a Washington e in un primo periodo a Città del Quebec, Canada, dove fu fondata nel 1945.
Un’organizzazione così importante si trova oggi nell’occhio del ciclone, in quanto viene già da tempo accusata di non raggiungere risultati sufficienti non solo nelle emergenze, ma soprattutto nel sostegno allo sviluppo delle agricolture locali.
In questi giorni a Roma è successo di tutto e i cittadini, che in un primo tempo avevano pazientato dichiarando che per scopi umanitari si sopporta meglio il disagio, ora probabilmente saranno delusi da quanto hanno visto e ascoltato.
Il direttore della FAO, Jacques Diouf scarica la responsabilità dei fallimenti sui singoli governi che non attuano le giuste politiche di sviluppo e intanto, qui in città, mette in scena un suo personale sciopero della fame di sapore simbolico, che ha contagiato il sindaco Alemanno. Non si comprende sinceramente l’utilità di questa iniziativa, che sembra aver fatto solo da stimolo a giornalisti annoiati, i quali hanno definito Diouf il direttore “barbone” per via del suo abbigliamento durante la nottata del digiuno.
L’imponente mole delle delegazioni da tutto il mondo ha fatto quasi spettacolo, con personaggi a sorpresa, come il presidente venezuelano Hugo Chavez e il brasiliano Lula e le tante first ladies di paesi non allineati, il cui intento era quello di dar luogo ad un” summit nel summit “per lanciare le grandissime potenzialità delle donne nella lotta contro la fame, frenata ancora da imperdonabili discriminazioni, soprattutto laddove potrebbero, con poco aiuto, salvare le piccole economie agri cole.
Delicato commentare l’ormai nota teatralità delle visite romane del leader libico Gheddafi, che questa volta, non sazio delle sue quaranta amazzoni (guardie del corpo), ha voluto circondarsi di duecento giovani e belle ragazze, selezionate da un’ agenzia di hostess romana, dedicandosi, con poca riservatezza, a shopping in pieno centro e serate mondane. Insomma in città sembrava passare un vistoso e dispendioso “ carrozzone”, circondato da eccessive e impressionanti misure di sicurezza, che purtroppo costringe a chiedersi da saggi e semplici cittadini : Ma con quello che sarà costato di enorme tutto ciò, a quanti affamati si potrebbe salvare la vita?
Anche questi sono sprechi, forse inutili e stupidi, come il 50 % del cibo che viene buttato via negli Usa o il valore in sterline del cibo buttato in Gran Bretagna che è 5 volte più alto degli “aiuti”dati ai paesi poveri! Ma anche in Italia ogni anno si buttano il 15% di pane e pasta, il !8% di carne e il 12% di verdura e frutta. Per non parlare di tutto ciò che viene buttato via giornalmente da supermercati, ristoranti, fast food e catering. Lo spreco è anche nella “catena alimentare”, nella sua organizzazione, nell’accesso al cibo, alla sua produzione, allo stoccaggio e al trasporto. Enormi scarti per incompetenza e inefficienza è un altro vero scandalo.
In questi grandi summit si parla di aumentare la produzione agricola progressivamente, al ritmo di crescita della popolazione mondiale, ma non si dice mai bene” come”, con quali politiche e in quali direzioni procedere, come verrà poi usato e condotto il cibo, come verranno usate e distribuite le terre coltivabili, anche piccole, locali. L’ipocrisia è nel trascurare il particolare di vitale importanza,
per obbedire ancora una volta alle logiche schiaccianti del mercato e delle grandi industrie mondiali.
Questa mentalità serve soltanto a ingrassare i già grassi paesi ricchi e strutturati, ma non potrà mai risolvere il dramma della fame, laddove il cibo non è neppure raggiungibile, nemmeno tra ventanni.
Dunque forse Diouf ha ragione quando afferma che manca la volontà precisa, da parte dei governi “riceventi”, di imparare ad aiutare e sostenere colui che con le proprie mani può produrre il cibo nella sua terra e sfamare se stesso ed altri a lui vicini.Qualche buon risultato si è ottenuto in Brasile, in India, in Cina e qualcosa anche in Ghana e Malawi.
Non si sa però perché i 20 milioni di dollari promessi nell’ultimo G8 siano chissà dove “sepolti”.
Negli aiuti economici l’Italia è Scesa al 15° posto in Europa, tanto per fare un esempio.
Staffan de Mistura, vicepresidente esecutivo del programma alimentare mondiale, asserisce che i soldi ci sono, si farà fronte alle grandi emergenze, poi si aiuterà soprattutto chi dimostrerà di impegnarsi più seriamente e con senso di responsabilità nel lavorare e produrre e ottenere così altri aiuti.
Insomma la conclusione sembra essere che ,all’unanimità, si decide di andare nella direzione da tempo richiesta dai movimenti contadini, l’aiuto ai piccoli agricoltori e la difesa della biodiversità.
E adesso, i governi che danno e quelli che prendono, dovranno passare ai fatti!

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